Lunedì pomeriggio scorso (14/12/2020) ho rappresentato la nostra associazione ad un confronto online organizzato da alcune esponenti di Italia viva sul tema della doppia rappresentanza di genere in politica, una questione ancora irrisolta nella nostra regione che non solo non si è ancora adeguata alla normativa vigente, e la cui proposta di adeguamento da parte dell’opposizione era stata clamorosamente bocciata nel 2019 dalla attuale maggioranza. Nel rispetto della nostra identità di associazione apartitica ho accettato l’invito in quanto coerente con una delle finalità contenute nel nostro statuto che si impegna a “promuovere azioni positive per l’uguaglianza di genere in tutti i campi del vivere associato (politico, economico , culturale)” Mi è sembrata una buona occasione per cogliere pareri ed esperienze di esponenti e rappresentanti delle Istituzioni, ovvero la Ministra delle PPOO Elena Bonetti e il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Russo, primo firmatario di quella proposta di modifica che venne respinta. Oltre a loro, il panel era composto da Antonella Grim, Sandra Telesca , Roberta Nunin, e dalla sottoscritta. Nel mio intervento ho subito reso un doveroso tributo alla nostra Paola, richiamando le numerose occasioni in cui, come consigliera provinciale a Udine,( e parliamo del 2010, ovvero di dieci anni fa!) aveva chiesto che nelle nomine delle società partecipate della Provincia venissero riservate quote alle donne, così come aveva difeso le quote riservate alle donne in consiglio e giunta regionali che le voleva abolire! Proprio richiamandomi a quegli interventi, a quelle mozioni così anticipatrici di svolte normative, che in seguito sono state approvate su scala nazionale ma ancora poco applicate per un effettivo cambio di passo del sistema, ho offerto il mio punto di vista.

Per ribaltare questa situazioni di ruoli non paritetici è indispensabile che le donne in politica siano più numerose. Le donne devono analizzare i meccanismi dei sistemi elettorali, capire quali premiano la permanenza di una “casta” di politici che vivono solo di politica, distanti dal paese reale, e spesso ostacolano il ricambio e l’ingresso delle donne nei consigli di ogni ordine e grado. Le donne devono proporre e difendere alternative legislative dove siano premiati merito, competenze, visioni capaci di misurarsi sui fronti concreti della vita di tutti i giorni.
Ma, sottotraccia, il nodo tuttora irrisolto del questione è che, al di là delle leggi approvate e in vigore a favore delle donne, permane un cerchio vizioso che affonda le radici nelle condotte spesso ostative dei politici, che sono ancora retaggio di mentalità sessiste e patriarcali.
Dacia Maraini è intervenuta recentemente su questo, sostenendo “che si fa prima a cambiare una legge che una mentalità, perché la mentalità ha a che fare con l’identità e questa con la cultura di un Paese”… Il nostro resta, di fondo, un paese in cui la storica edificazione di un ruolo maschile orientato al dominio, al controllo, alla mercificazione e in ultima istanza anche alla violenza, produce la marginalizzazione della presenza femminile riducendola ad un ruolo ausiliario, sempre un passo “dietro”
Perché va detto che anche se ogni partito si è dotato di strutture riservate alle donne, quale ruolo esse assumono veramente all’interno dei partiti? Riescono ad esprimere pienamente il loro punto di vista? La loro esperienza peculiare in quanto donne? O non sono sostenute soprattutto se assumono atteggiamenti maschili? E questo pedaggio tacito di “omologazione” al modello maschile da parte delle donne quanto è performante sull’immaginario collettivo? Quanto riproduce all’infinito l’ambiguità di lettura per la società intera? Sei una donna politica, ma devi farlo rinunciando al tuo essere donna? In termini di tempo, di impegno e di servizio, di conciliazione tra famiglia e lavoro quanto viene chiesto di sacrificio? Il nesso tra welfare, occupazione femminile, servizi sociali, politiche di sostegno alla famiglia, che in altri paesi europei sono in vigore da decenni, rappresenta il primo nodo da affrontare per una società veramente democratica. Ma quanto di tutto ciò sta davvero a cuore dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi quaranta anni?
Perché, se è vero che il lavoro delle donne induce benessere nelle famiglie, maggior reddito e maggiore sicurezza economica, maggiori opportunità per i figli, è vero che ciò genera ulteriore domanda di lavoro nei settori secondario e nel terziario dei servizi di vario genere, così altri lavoratori, altre lavoratrici trovano lavoro, aumentando il PIL della nazione.
Ancora, se questo “esserci a pieno titolo” nella società civile migliora le condizioni generali di tutti, a maggior ragione deve valere per l’equa rappresentanza di genere nel mondo della politica, visto che le donne rappresentano più del 50% della popolazione italiana!
Infine, ma non ultimo bisogna dire schiettamente un’ultima cosa: le donne devono votare le donne! A ragion veduta ovviamente, ovvero non in modo radicalmente ideologico ma cercando di andar oltre rivalità personali, relazionali o professionali che ancora oggi frequentemente condizionano all’interno degli stessi partiti iniziative e azioni positive, finendo per scivolare in tante nel triste teatrino di certe parti della politica nazionale, con un effetto boomerang sulla credibilità delle loro capacità politiche e sulla legittimità dei loro mandati.