Settimane e mesi sono volati, è passato quasi un anno dall’articolo su Nadia Orlando. Nel frattempo una primavera fitta di impegni per la campagna elettorale delle amministrative a sostegno del candidato di centro sinistra – Enzo Martines – e la mia stessa candidatura nella lista civica “Progetto Innovare” hanno moltiplicato incontri e confronti reali e ridotto tempi ed energie per aggiornare con maggior continuità questo spazio virtuale. Si sa poi come sono andate le cose a Udine : al ballottaggio tra i due candidati, Martines e Fontanini, la rimonta clamorosa del centro sinistra non è  stata sufficiente per colmare la differenza di voti già registrata tra i due candidati e Pietro Fontanini ha vinto- dettaglio non trascurabile  – anche grazie ai voti dell’estrema destra di Casa Pound,  all’effetto traino delle elezioni regionali del Fvg e di quelle nazionali con la nuova formazione gialloverde.
E adesso? La forte preponderanza maschile dei componenti la maggioranza del Consiglio comunale e le iniziali difficoltà nel reperire un’equa rappresentanza di genere all’interno della giunta erano già di per sé eloquenti.  L’attuale contesto sembra confermare lo stereotipo che la politica e l’amministrazione della cosa pubblica hanno bisogno di persone affidabili, esperte, competenti , capaci, lungimiranti…. Insomma, si sa, tutte caratteristiche che un sistema millenario di potere patriarcale ha riconosciuto essere superiori negli uomini che nelle donne!!! O no? ma le donne su questa realtà cosa dicono? Cosa fanno di fronte a queste scelte e a queste linee programmatiche che –  complici più o meno consapevoli – vanno nel senso di una  riduzione , quando non finisca per essere una abolizione!, dei diritti civili e politici faticosamente conquistati con lacrime e sangue? Dipende da quali donne prendiamo  a campione: molte si compattano nella difesa del loro diritto di cittadinanza metaforico e reale all’interno di una società complessa che annaspa sotto il peso di una gestione grossolana e spesso ancora molto ingiusta nei loro confronti. Tra costoro mi muovo anch’io come componente di minoranza all’interno della rinnovata composizione della commissione comunale PPOO. Altre invece rappresentano le femmine che si appropriano del codice dei maschi (ritenendolo appunto superiore) e lo applicano con maggior veemenza di loro, sfoderando una aggressività che porta ad espellere i bambini stranieri dalle classi (a Monfalcone),rendono inaccessibili bus e mensa agli immigrati (a Lodi), riducono la tutela delle associazioni LGBTQ (in FVG).  Sembra sia  parecchio diffuso il secondo caso. Sindache, assessore e consigliere leghiste spesso irridono schiamazzando al tentativo di legittimare nella lingua l’uso di “consigliera” “assessora” “deputata”,  giudicando l’uso del femminile una diminutio , una svalutazione rispetto al maschile e poi  rivendicano diritti di pari opportunità , inconsapevoli  di cadere –nei pensieri e  – nelle opere –  in una contraddizione in termini che “Nol consente” , come diceva il sommo poeta. Così come appare improvvisamente contraddetto nelle delibere attuali lo spirito originale delle leggi sulle Pari Opportunità ( nate per assicurare che vi sia parità di accesso ai servizi e ai diritti per tutte le cittadine e i cittadini senza alcuna distinzione di sesso, di razza , di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali). E contraddittoria , da parte della attuale Commissione comunale PPOO, l’ assenza di un’ autonomia di pensiero critico “di genere” che si manifesta con l’appaltare ai leader maschi dei partiti al governo il tema cruciale delle relazioni di genere (non solo binarie!) e quello dei diritti civili.  Come se tra le donne , di qualsiasi latitudine, dai paesi del terzo mondo a quelli più fortemente industrializzati dell’Occidente, non esistesse invece un filo rosso trasversale comune, una coscienza peculiare in quanto donne  di un gap storico rispetto agli uomini,  che relega ancora molta parte delle donne del mondo cosiddetto “civile” a tassi alti di disoccupazione o sotto-occupazione e ai livelli più bassi di reddito che, non solo nei paesi sottosviluppati ma anche nel nostro, va colmato con adeguati progetti di azioni positive tese a contrastare la violenza , ad eliminare pregiudizi e stereotipi culturali retrogradi ed oscurantisti, ad espandere l’accesso al lavoro e ad incrementare le opportunità di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale delle donne. Di fronte all’immenso lavoro culturale, politico e sociale che ancora si rende necessario per colmare questo gap, dopo tutti i decenni di lotta delle donne per l’emancipazione e l’autodeterminazione,  il richiamo anacronistico a ruoli stereotipati soprattutto di mogli e madri per salvaguardare il trend di denatalità dell’Italia e della regione FVG , con una ideologica difesa della cosiddetta “famiglia naturale”, si configura come un cerotto per curare una mutilazione che invece ha bisogno di protesi per permettere di tornare a camminare. La giornalista Claudia de Lillo dice che “I figli sono patrimonio della collettività” per questo il loro costo in termini economici, educativi e di tempo dovrebbe ricadere sulla società tutta, con uno sforzo congiunto politico, legislativo, culturale e aziendale”. In relazione a ciò, tanto per commentare, non penso si possa risolvere il calo delle nascite proponendo  l’abrogazione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, come presentato dal senatore leghista Simone Pillon, ma guardando alle donne come investimento, ad un welfare che le consideri come lavoratrici reali o potenziali che non devono essere lasciate sole e, posto che nessuno in un società civile dovrebbe essere lasciato solo, le madri meno di tutti. Ma  questo attiene ad una visione della loro vita in termini di diritti, di sistema di leggi, di un Paese  – il nostro – che non è ancora un paese per donne, perché – va detto – questo è un paese in cui le donne lavorano poco e male, che se vogliono diventare madri spesso sono licenziate e mobbizzate.  Quindi, anche se è innegabile che in Italia molti obiettivi sono stati raggiunti da parte delle donne,  la conclusione, in prospettiva futura, resta amara: “La vera rivoluzione accadrà quando smetteremo di occuparci di “politiche di genere” e inseriremo invece la prospettiva di genere in ogni politica pubblica” (Alessia Mosca , europarlamentare firmataria della legge 120/2011 che introduce le quote di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private). Nell’attesa, noi donne  delle associazioni femminili, femministe, e di tutte lo organizzazioni per la tutela dei diritti civili, dobbiamo fare rete  e  continuare a resistere, a lottare contro ogni realtà ottusa e retrograda tesa a cancellare il diritto ad essere liberi di scegliere, in quanto solo nell’esercizio di una scelta consapevole si manifesta la vera libertà di pensiero, di parola , d’opinione garantita dalla Costituzione.