L’appuntamento quadriennale delle Olimpiadi non si può rinviare, eccolo puntuale! Siamo alle Olimpiadi invernali; quest’anno è il turno della Russia, a Soči, una località termale a sud dello Stato, sul Mar Nero. Soči, sconosciuta prima, sta diventando la città degli eventi sportivi internazionali della Russia, un cantiere aperto perché ospiterà i Mondiali di calcio 2018, il G8, il primo GP di Formula 1 del Paese. Un impegno economico e di immagine fuori dal comune. Come ad ogni appuntamento di questo genere, i Paesi investono denaro pubblico per predisporre impianti sportivi all’avanguardia e sistemi di ricettività confortevoli. Come sempre si spera che il denaro speso sia poi ammortizzato e che la gente del posto ne abbia benefici in termini di vita migliore.

Le Olimpiadi però sono anche altro. I Paesi del mondo si incontrano, si confrontano rispetto ai sistemi di allenamento e ai risultati, agli investimenti rispetto alle strutture sportive, al valore economico che si attribuisce allo sport, al suo potenziale educativo, ai benefici che ha sulla salute e sulla qualità della vita delle persone. I protagonisti sono gli atleti, il loro percorso per raggiungere risultati alti, le persone che sono vicine a loro.

L’ideatore delle Olimpiadi – Pierre de Coubertin – nei primi anni del 900 creò il giuramento degli atleti: “A nome di tutti i concorrenti, prometto che prenderemo parte a questi Giochi Olimpici rispettando e osservando le regole che li governano, impegnandoci nel vero spirito della sportività per uno sport senza doping e senza droghe, per la gloria dello sport e l’onore delle nostre squadre”. Non servono commenti e non si parla certamente di risultati a tutti i costi, ma di percorsi lunghi, progressivi, iniziati nelle palestre delle scuole o nei campetti delle periferie, con gli amici.

Si comincia a giocare fin da subito, dalla prima infanzia, quando i bambini cominciano ad esplorare con il proprio corpo tutto ciò che li circonda. Cominciano a scoprire con i propri occhi e le proprie orecchie, afferrano e portano in bocca oggetti e sapori. Giocano. Attraverso il gioco scoprono, inventano e creano, sviluppano le capacità sociali e il modo di pensare, imparano a gestire le emozioni. 

Un’attività sportiva, nella sua accezione, si inizia quasi sempre per divertimento, per gioco, in forma non organizzata, senza la guida degli adulti, con il gruppo dei pari. Con il ripetersi dei gesti, delle formule, delle strategie, si affinano i movimenti, si acquisiscono competenze, si impara a risolvere i problemi trovando le soluzioni. Con il trascorrere del tempo si manifestano le proprie inclinazioni, le abilità specifiche, quella chiarezza su “cosa si vuole fare da grande” che permette all’adulto di intervenire coltivando il talento e di avviare quello che si chiama allenamento, ma che è un percorso di vita, senza perdere di vista la persona che potrà diventare un campione, tenendo conto delle fasi naturali del suo sviluppo fisico e psicologico.

Ma siamo tutti d’accordo su questo?!?!

Sicuramente lo siamo nell’affermare che lo sport, le attività ricreative e il gioco migliorano la salute fisica e mentale ed educano al rispetto delle regole, alla cooperazione, al rispetto di sé stessi e degli altri, educano anche ad assumersi responsabilità e a promuovono inoltre l’uguaglianza e la conoscenza degli altri. I ragazzi e le ragazze “si allenano” alla vita, ricercano la propria identità, sviluppano il proprio pensiero logico.

Ed allora, perché spesso non è così? Perché lo sport può diventare altro, e cioè rifiuto delle regole, esasperazione, scommesse ed inganni, modelli negativi, momento di sfogo, perché i campi di gioco non sono vissuti come luoghi dove si fa educazione? Perché così spesso emergono invece ignoranza, qualunquismo, maleducazione, fame di denaro e di gloria senza fatica ossia disvalori che non hanno niente a che fare con lo sport?

 

Forse non è sufficiente raccomandare agli amministratori di prediligere gli investimenti nelle scuole, dotandole di impianti sportivi adeguati e sicuri, di creare nelle città ed anche nei piccoli centri, spazi ricreativi al chiuso ed all’aperto. Si deve anche controllare che tali investimenti non conseguano soltanto utilità immediate e circoscritte, ma in qualche modo diventino vivai di futuri atleti formati alla sana competizione, persone coltivate, nel senso più  proprio del termine, ad una visione nobile e leale dello sport trasferito alla propria vita; persone capaci di incarnare modelli positivi.

Alle scuole ed alle università chiediamo di formare persone che possano guidare i giovani nell’attività sportiva che deve essere favorita in tutti gli ordini, e che deve lavorare per l’inclusione di ogni individuo, anche diversamente abile, insegnando a gestire lo studio e lo sport con equilibrio e a dare alla competizione il valore aggiunto del recupero di valori come la lealtà e l’onore.

I giovani però devono essere affidati ad adulti autorevoli, formati, con una professionalità fondata su una preparazione scientifica ed umana.

Cosa c’entra tutto questo con le Olimpiadi invernali? Beh, come si diceva all’inizio: tanto impegno economico e di immagine che i vari Paesi sostengono ogni quattro anni non deve incantare ed annebbiare la nostra facoltà di farci delle domande.  Le Olimpiadi sono anche un’occasione per fermarsi a riflettere sul significato dello sport. E’ bene fare delle “soste” durante “il nostro tempo”, e molto spesso!