La buona notizia è che, stando all’articolo di ieri su La repubblica “Oggi a scuola lezione di emozioni”, secondo uno studio dell’università della Virginia l’educazione emotiva è la chiave per avere successo nella vita e nel lavoro. Per cui sono stati introdotti nella didattica programmi specifici per “quella materia fondamentale che ancora mancava nelle scuole americane”. L’Illinois dal 2003 è il primo stato ad averla adottata, ora si stanno muovendo tutti gli altri: dalla California a New York. Sembrano essere convinti che in tal modo si potrà prevenire il dilagare del bullismo, sviluppando l’empatia, imparando a domare rabbia e nervosismo. I benefici sembrano assicurati non solo nella vita scolastica ma anche nelle future relazioni di coppia e nel lavoro.

 Tuttavia, nel condividere lo spirito di questa attenzione alle individualità dei bambini e degli adolescenti a scuola, ci piace l’aforisma di  Mariapia Veladiano che sulle pagine delle stesso quotidiano, alla fine del suo intervento, commenta:” Beati quelli che sono sicuri di quello che si deve fare. Pazzi quelli che son sicuri di quel che si deve fare”.

La contraddizione  è solo apparente quando si parla di scuola perché , è sempre Veladiano a dirlo “..é evidente che le emozioni a scuola sono anche quelle degli adulti, eppure non c’è programma di formazione dei docenti che preveda un lavoro sulle proprie emozioni d’aula e su come fare a fidarsi e affidarsi all’empatia, che è sentire quel che sente chi ci sta davanti, e così entrare in relazione, senza perdersi. Bisogna non perdersi quando si è in aula.” Anche questo non è lavoro per tutti…

Intendo dire che la contraddizione di cui sopra ha una sua ratio poichè implica questioni molto grandi, che attengono alla libertà di  ogni individuo, bambino e adulto, e il diritto di vederla riconosciuta e di ribellarsi ad ogni forma di “normalizzazione coatta”,  di manipolazione “uniformatrice”e quindi conformistica. Già un’attenta studiosa delle scuole americane, Diane Ravitch, contesta  questa sorta di “ortodossia emotiva” che peggiora il guaio  del sistema educativo americano che “non abitua alla libertà di pensiero, altro che controllare le emozioni: andrebbero scatenate”.

Sempre Veladiano afferma: “ un’educazione alle emozioni corre sempre il rischio di esprimere una visione standardizzata di gestione delle emozioni, addirittura funzionale banalmente al mondo della scuola, dove i tagli di organico rendono più conveniente la disciplina e quasi ingestibile le diversità”.

Naturalmente l’argomento è davvero complesso perciò rimane aperto alla discussione. A me intanto piace ricordare che su queste tematiche, apparentemente così nuove,  la ricerca metodologica didattica in Italia (e fin dal 1985!) ha prodotto studi,  pubblicazioni e metodi di grande autorevolezza e spessore. Cito, tra i tantissimi titoli di libri, uno che ha influenzato profondamente e concretamente il mio lavoro di insegnante, ossia “Star bene insieme a scuola” di D. Francescato, A. Putton, S.Cudini. Dodici ristampe (fino al 1997) per un piccolo efficacissimo modello operativo di strategie per un’educazione socio affettiva dalla materna alla media inferiore, per molti aspetti trasferibili anche alle superiori. Forse una volta tanto non sono gli americani ad essere all’avanguardia…