Prendo spunto dagli ultimi post su uno dei nostri blog (www.robedibimbi.it). Si parla di conciliazione famiglia – lavoro ma soprattutto di quanto sia ancora poco affrontato il tema di come consentire alle donne tale conciliazione.
L’occasione è stata la nomina del ministro Madia, incinta di 8 mesi.
Da alcuni è stata vista come una buona notizia ma non mancano i pareri contrari, tra cui il mio. Ho provato a raccogliere qualche giudizio su Facebook tra le mie amiche e colleghe, giudizi che non pubblicherò ma che vi posso riassumere.
Esulando dal merito prettamente politico della questione, ciò che emerge è il fatto che le nomine di questo tipo non hanno alcuna aderenza con la realtà delle mamme lavoratrici. Sono nomine che creano una discussione, che apparentemente pongono il problema all’interno delle alte sfere, dei salotti, delle commissioni, dei gruppi, delle categorie. Alle donne normali, tuttavia, tali discussioni non portano nulla. Loro sono quelle che lavorano da single, che intraprendono una carriera, a volte. Sono quelle che pur di trovare un lavoro accettano ancora di firmare dimissioni in bianco o nascondono una relazione o un progetto di famiglia. Sono quelle che fanno carriera finché non hanno orari e sono sempre a disposizione per lavoro extra.
Le stesse per le quali al momento della maternità cambia tutto: il lavoro diventa precario, la famiglia una minaccia e sono costrette a scegliere. Che poi scelta non è.
Chi è dipendente pubblico sicuramente ritrova il proprio posto ma spesso senza la complicità e la condivisione dei colleghi; la neo-mamma diminuisce automaticamente il suo valore professionale.
Per le dipendenti del settore privato o peggio le libere professioniste non c’è spazio per la famiglia: sono quelle che improvvisamente hanno orari, non sono affidabili, non si sacrificano come prima, non sono sempre reperibili, e in fondo hanno sempre qualche rogna, un figlio malato o la baby sitter impegnata o la riunione a scuola.
In verità, se il lavoro lo devono appena trovare è una mission impossibile, perché la seconda o terza domanda al colloquio è ancora “lei è sposata?”. Se un lavoro l’hanno già bisogna affrontare il senso di colpa e di inettitudine al momento in cui si contano i giorni di maternità. Di solito chi ha ruoli di responsabilità lavora da casa fino all’ultimo giorno e ricomincia a mandare mail mentre allatta. Non c’è spazio per una alternativa. C’è sempre una che copre la maternità che nel vuoto lasciato acquisterà sempre più importanza e al ritorno della mamma resterà al suo posto mentre la mamma verrà riqualificata.
Le libere professioniste non hanno chi le sostituisce, se non lavorano non mangiano; le casse previdenziali coprono percentuali irrisorie della retribuzione normale, soprattutto per chi ha figli a inizio carriera, quando gli stipendi sono ancora bassi.
Se non lasciano il lavoro di solito è perché chi è libero professionista ha anche una sorta di autostima e soddisfazione personale da realizzare, sacrifici da compensare e non veder sfumare all’improvviso.
Di solito si continua per mantenere alta la professionalità, per non perdere i clienti e il giro di colleghi. Perché cercare un lavoro diverso, di nuovo, ricominciare daccapo a 40 anni è quasi impossibile.
La maggior parte il lavoro lo lascia, e non perché se lo possano permettere. Perché quello che guadagna va speso in asili nido (e sfido le libere professioniste medie a rientrare in un isee che consenta loro l’abbattimento della retta: devi almeno essere vedova, straniera, madre di 5 figli, sulla soglia della Caritas, o qualcosa del genere).
Il lavoro lo si lascia perché non ci sono nonni disponibili che vivano vicini, perché per lavorare le coppie si trasferiscono. Lo si lascia perché bisogna trovare una babysitter e anche brava. E quelle brave costano, anzi quelle brave sono già occupate per cui bisogna accaparrarsele.
Questo è ciò che aspetta le neo-mamme normali.
La conciliazione non è un problema quando lo stipendio è alto e si può delegare. Sarà impegnativa, come nel caso dei CEO delle aziende multinazionali, perché bisogna sempre fare i conti con le proprie responsabilità e mantenere alta la produttività, sapersi concentrare.
Il segnale sarebbe consentire alle donne di scegliere: cambiare la mentalità, parificare gli stipendi delle donne a quelli degli uomini, cosicché si possa scegliere chi sta a casa, eliminare il maschilismo imperante delle aziende, premiare chi produce e non chi sta più tempo in ufficio, creare asili nido aziendali, abbattere le rette degli asili, etc.
Ma sono tutte questioni che, secondo me, chi non sperimenta sulla propria pelle non può comprendere.