Ho accolto con vivo piacere ed onore l’invito di Roberto Treu, segretario dello SPI di Trieste, che ringrazio sinceramente per l’opportunità che ci offre di approfondire il significato politico oggi di questi che chiamo “determinanti della salute”, non solo del nostro Paese ma vorrei dire del Villaggio globale cui apparteniamo tutti, la cui sferzante evidenza, con l’esplodere della pandemia, oggi si impone all’attenzione del pianeta intero.
La metafora della salute riferita alle condizioni della nostra società intende essere la rappresentazione di una condizione che registro di seria sofferenza dal punto di vista etico, politico, economico, civile e che reclama un urgente salto di paradigma culturale per il contrasto a neofascismi e razzismi, stereotipi violenti retaggio di una mentalità fascista in cui si mescolano maschilismo violento, misoginia , aggressioni omofobe da branco squadrista che inquinano ancora una parte dell’opinione pubblica e si palesano in fenomeni di violenza agìta che dall’hate speech arriva fino alla stupro e al femminicidio. Che dire poi di quanto successo recentemente in Ungheria, in Turchia, in Egitto? Facendo io parte di una generazione di donne che hanno lottato per la conquista dei propri diritti politici e sociali (ricordo il vecchio slogan “il privato è politico!”), da giovane mi sono trovata a chiedermi se mi era sufficiente capire quale era il mio posto nel mondo o se non avessi anche dovuto scegliere da che parte stare. Perché, ora come allora, penso che non basta solo capire, occorre poi prendere una posizione.
Di quale libertà volevo occuparmi, quale impegno nella difesa di una giovane democrazia volevo assumere, quali diritti e quali valori umani facevano parte di quella che definivo ingenuamente l’esigenza di una visione sinfonica della vita.
Certo essere giovane donna nel ’68 mi ha facilitato il compito. Dietro di me c’erano ancora i vivi a raccontare con la loro voce della guerra, della Resistenza e della Liberazione , anche se non proprio tutto, per pudore e riguardo nella tutela della nostra innocenza rispetto alla banalità del male. Davanti a me c’era un futuro che volevo fosse diverso da quello di mia madre, che non era un soggetto giuridico (nemmeno io in realtà , all’epoca in cui mi facevo queste domande!) e che rimpiangeva di non aver potuto finire il ciclo delle elementari come le sarebbe piaciuto perché doveva accudire i fratelli più piccoli. Ma oggi, chi c’è dietro ai giovani, e loro cosa hanno davanti?
Questa è una delle domande da porsi oggi: come far capire ai giovani lo spirito della Costituzione, nata con l’intento di reagire ad un passato drammatico di violenza , persecuzioni, discriminazioni razziali e di genere? Perché la ratio della Costituzione va individuata proprio nel principio di uguaglianza e nella tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, e io aggiungo della donna, la cui piena affermazione rappresenta un argine fondamentale contro l’intolleranza.
Si incrociano qui due riflessioni: la prima a partire da quanto affermato da Calamandrei “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé, ma per farla rimanere viva occorre metterci dentro l’impegno , lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.” Per cui ci si chiede come trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio umano e culturale della Resistenza e il senso della pace e della democrazia a fronte della quotidiana esperienza di erosione dei diritti civili e di giustizia sociale? (Mi riferisco, oltre alle scelte scellerate nella gestione delle migrazioni, ai diritti all’istruzione, alla salute, alle Pari Opportunità, all’inclusione e all’integrazione di cui la pandemia ha disvelato una endemica inquietante realtà ). Il discorso di ieri del Presidente Mattarella ci chiama ad essere Costruttori di memoria contro ogni tentativo di delegittimazione della guerra di Liberazione e dei valori che ne sono maturati grazie ai Padri costituenti e, non dimentichiamolo mai, alle Madri costituenti. Molti luoghi comuni, di banalizzazioni, di equiparazioni di morti sia da una parte che dall’altra, per cui alla fine si pareggerebbero i conti, oggi sono “narrazioni tossiche” delle destre , come le definisce Chiara Colombini , storica e ricercatrice presso l’istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Cito ”Lo sforzo di comprensione- non è dato dal giustificare l’operato dei partigiani alla luce della sensibilità di oggi, bensì di capirne le difficoltà, le asperità e rivendicare quell’esperienza per come è stata , con tutte le sue luci e le sue ombre , i suoi slanci di generosità e le sue criticità”. Si tratta di conciliare la memoria della lotta partigiana con il progressivo allontanarsi sempre più dalla memoria storica…
Nel nostro piccolo, come insegnanti di Italiano e Storia, abbiamo ideato la scelta di co-costruzione tra docenti e studenti/esse di un percorso metodologico-didattico diverso; un laboratorio attivo di ricerca storica che facesse loro vivere in prima persona cosa vuol dire “fare storia” , che rompesse schemi obsoleti e aprisse alla curiosità , alla fatica della ricerca delle fonti, alla scoperta della loro imprescindibile importanza, alla passione delle “storie”, tramite le interviste, che in effetti fecero affiorare un patrimonio di testimonianze e documenti ancora inediti o sconosciuti da parte di donne di ogni età. Una cultura della solidarietà, della pace e della giustizia che evidenzia una delle prime forme spontanee di resistenza al nazifascismo per intervenire in aiuto di figli, di mariti, di fratelli in pericolo. Una significativa tappa successiva fu raggiunta dalla prof.ssa Paola Schiratti, purtroppo prematuramente scomparsa nel 2015, che nel 2010 in collaborazione con A.N.P.I , commissione PPOO del comune di Udine, l’associazione C.O.R.E. E “le donne in nero “ di Udine ha elaborato il progetto “Una disubbidienza civile: le donne friulane di fronte all’8 settembre 1943”. Il progetto, finanziato dalla regione, prevedeva tre fasi: la posa di un targa commemorativa intitolata alle donne senza armi resistenti nel piazzale della stazione di Udine (1 giugno2011), la realizzazione del docu-film Cercando le parole (2012), l’assegnazione due due borse di studio per il reperimento nel territorio di ogni fonte utile per la pubblicazione delle interviste alle donne friulane ancora in vita protagoniste della raccolta dei bigliettini lasciati cadere dagli internati in transito nei carri bestiame che li portavano ai campi di concentramento in Germania. La terza fase spiega lo spirito della pubblicazione e risponde in parte alla domanda del come trasmettere i valori della Costituzione alle nuove generazioni. Là dove tutto era cominciato era giusto tornasse con un contributo utile, nel merito e nel metodo , con l’auspicio che questo modello di lavoro potesse integrare una ulteriore narrazione della storia delle donne friulane che le sottragga alla dimenticanza e renda loro il giusto riconoscimento.

Daniela Rosa
Presidente associazione ‘Le Donne Resistenti’