Ancora sul libro ‘Una disubbidienza civile: le donne friulane di fronte all’8 settembre 1943’.
Vorrei fare l’elogio della vecchiaia per risarcire i vecchi, le vecchie soprattutto, dell’autorevolezza di cui sono stato rapinati nella presunta civiltà occidentale, quella dei consumi, in cui ripeto, soprattutto alle donne, capita di essere considerate per lo più come prodotti in scadenza. Non si può negare come in questi ultimi anni la ricorsa spasmodica all’eterna giovinezza, spinta dal business della moda, dai media che sono la loro cassa di risonanza e dai comportamenti di troppi personaggi pubblici, contribuisca alla totale svalutazione del passare del tempo, soprattutto di quello delle donne che, appena non sono più carne fresca pronta al consumo, diventano invisibili o da compatire..
Invece, controcorrente, credo che i vecchi, le vecchie, possiedano un dono bellissimo: diventano capaci di raccontare sia del Tempo che dello Spazio, offrendo a chi ascolta l’opportunità di un confronto tra passato e presente che insegna moltissime cose. Se ci pensate bene questa è una cosa che i giovani non possono proprio fare: al più possono fare cronaca, che è completamente diverso. Ma il tempo , necessario al narrare, e lo spazio o gli spazi per le narrazioni dove sono oggi? Praticamente inesistenti nell’accelerazione dei ritmi della società contemporanea che ci fanno vivere a una velocità senza precedenti e precludono ogni “educazione all’ascolto”.
Questo è il valore aggiunto alle parole delle protagoniste del libro ‘Una disubbidienza civile: le donne friulane di fronte all’8 settembre 1943’ che ci parlano di un passaggio fondamentale nelle loro vite. Esse, oltre a narrarci di un tempo di cui i più giovani neanche immaginano gli effetti, e di spazi geografici radicalmente stravolti dalla guerra prima e dalla ricostruzione poi, ci insegnano una specie di laica speranza in quello che Anna Frank chiamava l’”intima bontà dell’uomo”; filtro dai mali che ogni guerra genera e che solo lo scorrere del tempo può decantare. Cadono nel Tempo tutte le cose inutili. Le ferite diventano cicatrici e, anche quando esprimono il dolore o l’esperienza della morte degli affetti più cari, questo è un esercizio per tutte le nate e i nati dopo la guerra a non rimuovere ciò che è nella probabilità degli eventi, distogliendo lo sguardo da un ‘altra parte, ma a parlarne e ragionarne con la saggezza di chi ha saputo attraversare quelle prove, quelle esperienze conservando la propria integrità morale assieme ad un sano e legittimo gusto della vita che continuano ad amare, amando gli altri e spendendosi ancora per loro.
Queste donne ci raccontano con autorevolezza ed essenzialità di fatti apparentemente ovvi, scontati. Ma noi sappiamo che è il contesto in cui un messaggio viene espresso ad attribuirgli l’esatto significato. Il contesto storico e politico dei giorni successivi all’8 settembre 1943 è stato ampiamente documentato dalla Storia con la “S” maiuscola. Sono loro stesse però a raccontare un ‘altra storia, dalla marginalizzazione dei loro ruoli sociali, dal punto di vista delle ragazzine di allora che ricordano di essere state, offrendo alle nuove generazioni, ma anche a noi adulti, l’opportunità di chiederci “Ma io , sarei stata capace di agire così?”
Come allora seppero provare empatia per quegli sventurati allo sbando oggi sono ancora in grado di provare empatia per queste giovani generazioni disorientate ma affamate di ideali e di alimentare ancora, soprattutto nelle scuole in cui sono invitate a raccontare, un patrimonio morale da custodire, un bisogno di giustizia e di valori purtroppo oggi appannati e confusi. Non ricordo una volta in cui , parlando alle classi di qualche istituto scolastico della città, non ci sia stata una ragazza che con gli occhi lucidi di commozione, non si sia avvicinata a questo donne per un abbraccio spontaneo e un ringraziamento. Questo è stato per me un rinforzo : una vita dedicata all’insegnamento, alla formazione e alla valorizzazione del pensiero della differenza di genere non poteva lasciarmi insensibile al modello che le donne da noi intervistate man mano ci hanno fatto conoscere. In tal senso spero di poter essere utile come “mediatrice culturale” tra vecchie e nuove generazioni, avvicinando le studentesse e gli studenti che leggeranno questo libro alla discussione dei valori partendo dall’esigenza anche da loro sentita di ridare fondamento etico e politico al significato di termini come libertà, giustizia, democrazia. Ebbene, a me pare che le donne da noi conosciute ed intervistate, adottando comportamenti ed azioni così semplici ma così forti in quel contesto storico abbiano saputo realizzare “la banalità del bene” e che i loro percorsi possano ancora commuovere, divertire, insegnare alle nuove generazioni che se “la vita è quello che ricordiamo”, come dice G.G. Marques, quello che queste donne ci hanno raccontato e noi abbiamo raccolto in questo volume, le promuove di diritto a diventare “brave maestre” per tutti noi.
inserisci un commento