Sono qui, nella mia terra, il sole splende e quasi mi acceca. La mia terra mi accoglie e mi fa sentire a casa, gli affetti familiari sono qui, ma io sono sempre una emigrata, le radici sono in Sicilia, la mia vita scorre in Friuli ed anche lì mi sento a casa. L’emigrazione ti segna nel tuo essere persona e non puoi prescindere da questa esperienza che nel mio caso è stata positiva.  Non è stato facile emigrare, non è stato facile proseguire la vita nel momento in cui, giovanissima, appena sposata e munita di titolo di studio vuoi iniziare un percorso dove dal niente (nessuno ti conosce) devi affermarti nella vita lavorativa e sociale. In quel periodo storico, per la verità, trovare il lavoro è stato facile e le difficoltà, a raccontarle oggi, non sono niente. Ma la mia condizione di emigrata non l’ho dimenticata.
Adesso viaggio, torno nella mia terra più spesso di prima, ho più tempo, ma la mia famiglia è divisa e ci troviamo a vivere alle due estremità dello Stivale.

Questa è proprio una bella stagione in Sicilia: sole, tepore, natura lussureggiante, il mare calmo, si ritira e le spiagge cominciano a prendere la dimensione estiva, diventano più profonde e la sabbia è più asciutta. C’è movimento, le seconde case aprono le finestre, tutto si muove sulla terra ferma, i turisti apprezzano il mare, ma soprattutto le città barocche (i nostri paesi) costruite in calcare tenero che cambiano colore con l’intensità della luce.
Ma nel mare calmo in questo momento c’è grande traffico, ingorghi e disperazione. Arrivano sulle nostre coste persone, uomini, donne e bambini, anche neonati che cercano una vita migliore. Come donna voglio immaginare il travaglio interiore di una donna che decide di lasciare il posto dove è nata, la casa anche se precaria, gli affetti, quel minimo di certezze per pensare che altrove, non si sa dove, si possa stare meglio. La disperazione deve essere tanta, forte, insostenibile. Certamente ci vuole una grande dose di coraggio. In questo momento, sulle coste della Sicilia stanno arrivando tante donne con bambini piccolissimi e minori non accompagnati. Il viaggio è durissimo, incerto, pericoloso per un adulto, figuriamoci per i bambini. La donna si trova a dover scegliere: vado e lascio mio figlio qui, agli anziani, a nessuno…..o lo porto con me? Mando mio figlio da solo? Riuscirà il piccolo a sopportare le difficoltà del viaggio, gli stenti, la mancanza di acqua, il sole cocente in mezzo al mare insidioso del Canale di Sicilia? Riuscirò da viva a toccare la costa? Chi troverò dall’altra parte? Mi aspetta umanità o schiavitù e sopraffazione?
Ecco forse sono queste le domande che le donne si fanno prima di partire e comunque….. partono.
Quello che le aspetta lo sappiamo, le cronache sono ricche di particolari, ma anche pervase da luoghi comuni espliciti o sottintesi. Noi “benestanti” siamo capaci di connotare in modo ancor più negativo rispetto agli immigrati uomini, l’immigrata donna e questo è il massimo dell’idiozia e della banalità. I luoghi comuni in queste situazioni sono gratuiti, irrispettosi nei confronti del genere umano.
Io ammiro il coraggio di queste donne, è evidente che si può rischiare tutto, anche la vita e la vita dei propri figli per il desiderio di una vita normale, solo normale. Sono donne resistenti.